Guido Corazziari: la perizia dell'architetto ed il libero occhio del pittore

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L'esperienza artistica di Guido Corazziari si colloca tutta nel primo cinquantennio del Novecento e come tale - vivendo solo dodici anni oltre il crinale cruciale della II guerra mondiale - l'autore, che fu architetto, disegnatore, pittore, non fu coinvolto dalla trasformazione profonda dell'arte del secondo Novecento. La sua arte si allinea nel solco della tradizione italiana della buona pittura, con l'alto magistero del disegno alla base, che appartenne ai grandi artisti primonovecenteschi come De Pisis, Sironi, Donghi, a loro volta fedeli ai maestri del Rinascimento umanistico.
Una prima ricognizione dell'opera di Guido Corazziari, preludio ad una più sistematica ricognizione scientifica, consente d'individuare dei filoni di produzione distinti per soggetti e per generi, filoni che seguono in modo sorprendente lo svolgersi della cronologia.
Corazziari, innanzitutto, fu un professionista del disegno, attività intesa sia come studio dell'antico e dell'architettura storica, sia come progetto in virtù dell'architettura praticata. In ciò fu fine disegnatore, mai banale, capace di lasciare la propria impronta stilistica in un fregio, nella riproduzione di un frammento lapideo, d'una facciata, di un capolavoro michelangiolesco. Disegnava a grafite o a sanguigna con tratti sottili e discreti, spesso con un segno interrotto in tanti microframmenti; ed anche quando il soggetto fosse un edificio (come nel disegno d'una villa neogotica degli anni Trenta-Quaranta) il giardino intorno è reso in modo impressionistico.
Tornando ai filoni di rappresentazione, il primo di loro comprende le nature morte del 1920-30, che si definiscono "accademiche" nel senso positivo del termine. Esse, infatti, sono all'opposto della natura morta caravaggesca, o dello still life, poiché in queste composizioni la vita non palpita perché l'arte la fa da padrona: gli oggetti rappresentati non rinviano ad un rapporto speculare con la realtà, bensì gli oggetti si sublimano in una dimensione nuova, quella dell'arte appunto, nutrita delle regole della bottega. Le nature morte di Corazziari devono la loro freschezza all'uso dell'acquerello che esige rapidità d'esecuzione, spessore cromatico leggero ed un disegno di base lieve sempre in equilibrio con il colore. Luci ed ombre, riflessi e trasparenze, piani diversi per le diverse profondità mostrano il dominio della materia da parte dell'artista. In alcuni lavori si è notata anche la volontaria citazione di altre opere proprie; difatti a volte, a far da sfondo, ci sono i suoi stessi fogli degli studi.
I ritratti del 1930-50, con le tecniche preferite della grafite e dell'acquerello, sono una carrellata degli affetti domestici dell'artista e non sono ritratti d'occasione o celebrativi, perché la loro funzione è quella di sostituirsi volentieri alla fotografia estemporanea come mezzo per lasciare traccia. Essi introducono ad una nuova dimensione del disegno, quella del tratto che rende lo scavo interiore compiuto dall'artista. Il dipinto delle nipotine è esemplare in tal senso, perché le piccolissime protagoniste rivelano ciascuna una personalità individuabile in modo spiccato; nell'opera anche i ritratti appesi alla parete di fondo, i quali paiono i numi tutelari delle bambine, sono la riproduzione di disegni dell'autore (e di essi si è persa traccia), nel gioco dell'auto-citazione che gli si è vista adoperare già nelle nature morte. La metaimmagine (l'immagine nell'immagine), usata in modo consapevole o inconsapevole dall'artista, accentua la forza della rappresentazione, perché concentra nello spazio del quadro più immagini, moltiplicandone gli effetti a livello di percezione visiva.
Via via che trascorrono gli anni si ha l'impressione che l'artista si faccia più libero ed acquisti una personalità pittorica sempre più evidente. Le vedute del 1950-58 sono probabilmente i lavori più belli, perché coniugano la perizia dell'architetto nel disegnare gli edifici con il più libero occhio del pittore. In ambito nazionale un'esperienza che gli si può accostare è quella della Scuola Romana, per l'amore per le raffigurazioni colte per via, senza scadere nella cosiddetta "pittura di genere". Infatti, nei "tranci" di realtà, che l'artista presenta, protagonista è sempre la città, nella cosiddetta veduta topografica in cui la presenza umana è minima. I piani rigorosi delle architetture si sposano felicemente con gli accenni paesaggistici e l'effetto d'insieme è festoso.
Lèggere una tale felicità in questi lavori dimostra che finalmente, dopo molti anni affannosi, sia pure non privi di realizzazioni lusinghiere, anni dedicati intensamente alla professione ed alla famiglia, Guido Corazziari trascorse gli ultimi nove anni di vita dipingendo serenamente.

Giusy Petruzzelli

Docente di Storia dell'arte
Accademia di Belle Arti -
Università degli Studi di Bari
(giusypetr@libero.it)